Labyrinth…

“Tutto non è sempre come sembra in questo posto perciò tu non puoi dare nulla per scontato”, è una delle frasi più significative di questa pellicola del 1984. Un’adolescente e sognante Sarah (Jennifer Connely) riesce a superare un intricato labirinto (qui metafora dell’accesso alla vita adulta) malgrado gli affascinanti abbagli di un Re degli Gnomi ipnotico e le dolci tentazioni delle lusinghe di una surreale dimensione onirica. Una visione così piacevole e sorprendente che rapisce tanto da consacrare l’ingresso di questo film nell’olimpo dei cult movies.

George Lucas produce e Jim Hanson dirige con una qualità e una cura superiori alla media. Già ideatore dei Muppet e di Dark Chrystal, Hanson inonda il set di personaggi e pupazzi tutti animati manualmente da un sorprendente team di burattinai. Scenografia e fotografia di altissimi livelli, luci e colori affascinanti che risplendono su una distesa di luccicanti pagliuzze adagiate sulla nuda pietra e su grezzi mattoni tra i quali si intravedono esseri di ogni tipo, mimetizzati tra secchi arbusti. Esseri che fuoriescono dal pavimento e giocano sporco creando percorsi resi impervi da trabocchetti e indovinelli, tutto condito con una sorta di beffarda inconsapevolezza. Dissacranti e provocatori sostengono alla perfezione l’ambientazione che in tutto il film risulta un po’ grottesca e immergendosi nella quale si può anche rischiare di perdere la testa… attenti a quei Faireys!

Dolci fatine che si rivelano perfide, un mastodontico bestione che si dimostra un tenero amico, un codardo e corrotto goblin che impara a trovare il proprio coraggio e la sua devozione e un impavido Yorkshire cavaliere in groppa a un cane pastore, non vi ricorda qualcosa de Il Mago di Oz?

Hanson ci ipnotizza attraverso l’indimenticabile scena del ballo in maschera. Ci si lascia cadere in una fragile bolla di sapone, ammaliati da maliziose risatine, dallo scambio di sguardi nascosti e dalla comparsa di un intrigante domatore. Una narcotica illusione romantica improvvisamente spezzata dall’intenzionale ritorno alla realtà di Sarah.

A dilatare al massimo la percezione visiva di questa pregiata opera cinematografica la scenografia ingloba continui richiami alle opere di MC Escher, partendo dalla cameretta di Sarah, passando per i 7 volti di Jareth nascosti all’interno della pellicola e mettendo al posto dell’anticamera del “mostro finale” un labirinto di scale che si sviluppa su diverse dimensioni.

Su tutto e tutti primeggia un David Bowie che incarna perfettamente la figura del potente “angelo” tentatore, sostenuto da un manipolo di gnomi e da un esercito di creature fiabesche un po’ improbali. Bowie riesce ad ottenere lo scettro da re contrastando Michael Jackson, Mick Jagger, Prince e Sting grazie al suo unico fascino glam-glitter e a quel pizzico di inaspettata ironia che domina con estrema maestria per tutta la durata del film.

Labyrinth è rivincita e riscossa, un incoraggiamento ad andare oltre tutte le apparenze e i preconcetti a cui siamo abituati, uno sprone a prepararsi all’inaspettato e ad accoglierlo a braccia aperte nella propria vita come la magia che rappresenta. È un incantesimo musicale lanciato dalle 5 canzoni scritte appositamente da Bowie inserite nella colonna sonora strumentale composta da Trevor Jones che arpeggia e apostrofa le fasi del film attraverso passaggi interni ed esterni alla pellicola. Grazie all’interpretazione unica e mai troppo invadente di Bowie anche la musica diventa simbolo del constante passaggio dal sogno alla realtà in quello che possiamo definire senza dubbio uno dei capolavori del genere cinematografico fantasy/musicale.

Francesca Messali